Forse il problema è il vocabolario.
Se infatti ci si illude che per evitare la guerra sia sufficiente attestarsi su posizione anche solo un poco più sfumate giocando di scherma con dei “se”, dei “forse” e rifinendo di prudenti condizionali, è un attimo scivolare in discussioni in cui prima di concederti la patente di laicismo una qualche professione di fede la devi fare. E’ straordinario che il mondo laico, che maggiormente professa la libertà dai contenuti per una libera prassi sia il più agitato da controversie sui contenuti che impediscono la prassi.
La recente fondazione del partito ateo (Democrazia Atea) non ne è una smentita ma una prova: l’aggregazione in un partito di chi NON crede a qualcosa susciterà l’ennesima riviviscenza del partito di coloro che in quella cosa ci credono. Credevamo di esserci lasciati alle spalle il partito dei cattolici ed ora ce ne ritroveremo due.
Ma allora: è possibile per il laico / laicista sottrarsi alla guerra di religione tra integralismo cattolico e monateismo?
Un confronto tra le due visioni comporta inevitabilmente la forzatura della visione contrapposta all’interno del proprio vocabolario, con le conseguenti frustrazioni e accuse reciproche di malafede oppure è possibile entrare cautamente in casa degli altri e chiedere cortesemente quale sia il vocabolario in uso prima di utilizzarlo per una confutazione? E se è possibile, a che prezzo? Ne vale cioè veramente la pena o è più intelligente concentrarsi solamente sulle ricadute sociali delle proprie visioni del mondo? Sempre che sia possibile, naturalmente, rinunciare a priori ad un armamentario polemico che, a volte, si sospetta sia il fine e non il mezzo.
In altre parole, che la vera trasgressione sia che laicismo e laicità vengano enunciate laicamente?
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